14 giugno 2012

Da Griffith a Lee, o i neri visti da Hollywood

Come ha influito "La nascita di una nazione" nella rappresentazione degli afroamericani.



David Lewelyn Wark Griffith nasce a La Grange, in Texas, nel 1875. Figlio del colonnello Jacob "Roaring Jake" Griffith che ha combattuto nell’esercito confederato durante la guerra di secessione americana (1861-65), egli cresce con i racconti mitici della guerra e con una rigida educazione protestante. Tutto ciò, ovviamente, contribuisce a formare la sua personalità, fortemente caratterizzata da una chiusura mentale che porta al pregiudizio e al razzismo; mentalità, tra l’altro, che riflette quella degli stati sudisti dell’epoca.

Griffith trasferisce questa sua visione del mondo anche nei suoi film, tra cui spicca per l’appunto il celeberrimo La nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915), ambientato durante la guerra di secessione americana ed ispirato principalmente al romanzo di Thomas Dixon Jr. [1] The Clansman (1905) ed in misura minore a The Leopard’s Spots (dello stesso autore, 1902) di cui egli sembra accettare l’ideologia senza preoccuparsi della veridicità storica dei fatti narrati nei testi.

La nascita di una nazione descrive nella prima parte le vicende di due famiglie, una del Nord (in Pennsylvania) e l’altra del Sud (nel South Carolina), durante la suddetta guerra, fino alla vittoria degli stati dell’Unione guidati dal generale Grant [2]; nella seconda parte, si assiste al dominio del Sud da parte di affaristi del Nord e degli schiavi neri liberati, dipinti come violenti ed ignoranti, che creano l’anarchia con prepotenze verso i bianchi ed insediandosi in Parlamento; il finale del film, infine, mostra la "liberazione" del paese da parte del Ku Klux Klan [3] che finalmente ristabilisce l’ordine, creando una sorta di giustificazione storica della segregazione razziale e dei numerosi episodi di linciaggio a danno di neri.

Il film, proiettato per la prima volta al Clune’s Auditorium di Los Angeles con il titolo The Clansman e in seguito a New York con il titolo attuale, suscita comprensibilmente molte polemiche e critiche da parte di numerose riviste, giornali, associazioni (in particolare la NAACP : National Association for the Advancement of Colored People [4]), e persino delle rivolte, tanto che viene bandito in moltissime città americane ed europee perché tacciato di razzismo e colpevole di creare odio tra le razze; inoltre viene accusato di aver agevolato la rinascita del Ku Klux Klan, che riprese vigore dopo l’uscita del film.

Ovviamente, oltre alla questione del KKK, tra i punti critici di quest’opera vi è il fatto di dipingere gli afroamericani in termini completamente distanti dalla realtà, ossia come stupidi, zotici ballerini di tip-tap, o brutali approfittatori, la cui massima aspirazione è possedere le donne bianche arrivando anche allo stupro. Questi stereotipi rientrano nella classificazione stilata da Donald Bogle nel suo libro Toms, Coons, Mulattoes, Mammies and Bucks (1973) [5], che appunto suddivide in precise categorie le rappresentazioni dei neri a Hollywood, presenti sin dagli albori del cinema.


Abbiamo i toms che derivano dal famoso personaggio dello Zio Tom raffigurato nel romanzo di Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom (Uncle Tom’s Cabin, 1852), in genere visto come il "buon negro", servile, che perdona il proprio padrone e gli rimane accanto fino alla fine; poi vengono i coons che impersonano il nero buffone, oggetto di divertimento, spesso protagonista di commedie slapstick, incentrate su espressioni buffe o movimenti scomposti del corpo, interpretati molte volte da bambini (i cosiddetti pickaninnies); in seguito ci sono i mulattoes che vengono trattati come figure tragiche perché vittime della divisione razziale e costretti a portare dentro di sé il segreto del sangue nero nelle vene; inoltre abbiamo le mammies, donne di servizio solitamente grasse, molto legate al loro padrone bianco tanto da mettersi contro i neri più "liberali", e con una vena comica che le accosta ai coons; infine ci sono i bucks, introdotti proprio dall’opera di Griffith, ossia i neri brutali, approfittatori, selvaggi, con una forte sessualità, che tentano in ogni modo di mettere le mani sulla donna bianca.

Ne La nascita di una nazione vengono mostrate in modo sommario tutte queste categorie di personaggi, ma si può notare la rilevanza di tre figure in particolare, che sono: il mulatto Silas Lynch, divenuto governatore di Piedmont (South Carolina) dopo la vittoria dell’Unione; il nero rinnegato Gus; e la mulatta Lydia Brown, governante e amante dell’uomo politico del Nord, Austin Stoneman. Nonostante due su tre siano di sangue misto, si possono far rientrare tutti nel gruppo dei bucks ossia dei malvagi, dato che la parte dei tragic mulattoes non rispecchia per niente la loro personalità che invece è tinta di cattiveria e sentimenti sgradevoli.

Infatti sia Silas Lynch che Gus incarnano perfettamente il ruolo di nero violento, prepotente, con una sessualità prominente che tenta di violentare la donna bianca - entrambi i personaggi tentano questo gesto, che sarà uno degli elementi scatenanti della nascita del Ku Klux Klan e la sua giustificazione come organo "salvatore" della popolazione; per quanto riguarda Lydia Brown, viene ritratta come creatura invidiosa, piena di rancore e senso di vendetta verso gli uomini politici bianchi colleghi di Stoneman che la trattano come una serva e non come l’amante di quest’ultimo.

È curioso notare che tutte e tre le parti sono recitate da attori bianchi dipinti di nero, ovvero in blackface, tradizione proveniente dal cosiddetto Minstrel’s show, considerato la prima forma di spettacolo teatrale originale americana nata tra il 1830 e il 1840, che includeva danze, musiche, varietà e sketch comici interpretati da attori bianchi col volto dipinto, in seguito sostituiti da veri afroamericani paradossalmente tinti anch’essi di nero. Questi show rappresentavano i neri in maniera stereotipata e offensiva, accentuando spesso in maniera caricaturale il loro amore per la musica. Gli elementi di questo spettacolo sono stati ripresi molto spesso nella storia del cinema, sin dagli inizi; un esempio eclatante non può che essere Il cantante di Jazz (The Jazz Singer, Alan Cronsland, 1927) il film che segna la nascita del cinema sonoro, prodotto dalla Warner Bros, che illustra appunto questo genere di show portando con sé tutti i luoghi comuni dell’epoca.

Tutti i personaggi afroamericani principali presenti nei film di Griffith sono interpretati da attori bianchi in blackface, perché il regista non voleva afroamericani nei ruoli di rilevo dei suoi lungometraggi, rispecchiando così l’avversione di Griffith per i neri, a dispetto delle sue dichiarazioni di smentita alle accuse di razzismo sollevate contro di lui. Il film, infatti, utilizzando tutta la notoria e massiccia abilità di persuasione ed influenza propria della settima arte, ha contribuito al diffondersi del disprezzo per i neri, alimentando il mito dell’inferiorità dell’afroamericano, figura intrisa di connotazioni negative, utilizzata dai bianchi fin dall’abolizione della schiavitù per continuare ad esercitare il pieno controllo.

Hollywood, da parte sua, ha continuato a proseguire su questa strada con numerosissimi film, dal contenuto più o meno esplicitamente razzista, a seconda dei tempi. Si passa così dal razzismo evidente dei primi quarant’anni dall’avvento del cinema, ad uno più implicito ma di conseguenza più subdolo (creando il famoso "nuovo negro"), a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, in modo che i neri e le donne venissero accettati nei ruoli ricoperti dai maschi bianchi nella società.

Per questo motivo dunque, l’industria cinematografica, specialmente quella statunitense, nella sua lunga carriera ha prodotto a riguardo opere di ogni tipo, come ad esempio moltissimi film di guerra in cui il personaggio di colore inizia ad assumere più sostanza e spesso diviene il mezzo per divulgare messaggi positivi, sempre però a favore del protagonista bianco; una delle poche eccezioni in questo panorama di servilismo nero più o meno diretto, è impersonata dal ruolo del pianista Sam nel film Casablanca (Michael Curtiz, 1942), per questo accolto favorevolmente dai neri durante le proiezioni nei ghetti; un ruolo importante hanno inoltre i film in cui uomini di spettacolo neri vengono chiamati ad interpretare numeri musicali di rilievo, anche se le scene non erano ritenute indispensabili e potevano, in caso, anche essere tagliate; riprende vigore il personaggio del mulatto, interpretato in genere da una donna bianca con sangue africano, denominata nel gergo comune pinky dal film del 1949 Pinky la negra bianca (Pinky, Elia Kazan), o da un uomo dalla pelle chiara; nel pieno della guerra fredda poi, esce nelle sale il film Black Like Me (Carl Lerner, 1964) in cui un uomo bianco si traveste e si immedesima con la razza afroamericana per cercare di capire cosa significa essere nero; infine, con l’aumentare delle proteste e delle lotte per l’uguaglianza ed i diritti civili (famosa fu la marcia per il lavoro e la libertà su Washington del 28 agosto 1964, capeggiata dal reverendo Martin Luther King), Hollywood decide di "concedere" ciò che viene ritenuto dall’establishment bianco essere sempre stata l’aspirazione massima della popolazione nera, cioè il matrimonio interraziale, e così produce il famoso Indovina chi viene a cena? (Guess who’s Coming to Dinner, Stanley Kramer, 1967) che narra del fidanzamento tra un nero ed una bianca tra pregiudizi e superamento finale degli stessi.

Con gli scontri sociali che si facevano sempre più violenti alla fine degli anni ‘60, Hollywood decide di ingaggiare tre registi di colore: Ossie Davis (1917-2005), Gordon Parks (1912-2006) e Melvin Van Peebles (1932), per rilanciare il cinema indipendente nero, già attivo dagli albori del cinema ma in misura ridotta e con scarso successo a causa dei pochi mezzi a disposizione; questo tipo di cinema - il cui primo importante rappresentate fu il cineasta Oscar Micheaux [6] - paradossalmente prende forza in principio anche dalle critiche e dalle prese di coscienza scatenate all’uscita di La nascita di una nazione, e raffigura sul grande schermo un mondo di afroamericani non stereotipati e visti sotto una luce più verosimile, anche se intrisi dell’estetica bianca in cui il buono ha comunque la pelle più chiara.

Per assurdo, questi race films si interruppero dopo la fine della segregazione, per l’aumento dei costi di produzione e per l’esiguità delle sale cinematografiche. Ripresero, per l’appunto, verso l’inizio degli anni ’70 con l’avvento di quella che viene chiamata in seguito blaxploitation: film a basso costo, spesso di serie b, per la prima volta con colonna sonora funk e soul, dedicati principalmente al pubblico afroamericano ma apprezzati anche da molti bianchi.

Tra i lungometraggi che danno inizio a questo genere - durato solo qualche anno per via delle critiche del NAACP ed altre associazioni che gli contestavano contenuti razzisti e la rinascita di stereotipi, dopo la manipolazione di Hollywood - , vi sono titoli oggi considerati veri e propri cult come Pupe calde e mafia nera (Cotton Comes to Harlem, Ossie Davis, 1970), Shaft il detective (Shaft, Gordon Parks, 1971) ed i suoi sequel, Foxy Brown (Jack Hill, 1974), ma soprattutto Sweet Sweetback’s Baadasssss Song (Melvin Van Peebles, 1971) considerato il primo vero film del genere, che ottiene anche successo commerciale e diviene manifesto politico, approvato anche dal Black Panther Party [7].

Nell’ultimo ventennio, i costi di produzione per i film indipendenti sono calati, e molti cineasti afroamericani hanno trovato posto nell’industria cinematografica; accanto a talentuosi sconosciuti, si trovano anche nomi più famosi tra cui spicca su tutti quello di Spike Lee (nato Shelton Jackson Lee, ad Atlanta, Georgia nel 1957) che si è ritagliato negli anni una posizione di tutto rispetto come il più celebre regista afroamericano; i suoi film trattano tematiche sociali e politiche, soprattutto per quanto riguarda le questioni razziali.

Lee dirige una serie di cortometraggi a cavallo tra la fine degli anni ’70 e primi anni ‘80, tra cui The Answer (1980): una forte critica a La nascita di una nazione di Griffith a causa dei suoi contenuti razzisti e dell’utilizzo che ne è stato fatto per far riemergere una nuova ondata del Ku Klux Klan, rendendosi in questo modo, secondo Lee, direttamente responsabile del linciaggio e della castrazione di migliaia di neri.

Il cineasta firma in seguito numerosi lungometraggi di grande successo come Fa’ la cosa giusta (Do the Right Thing, 1989), Mo’ Better Blues (1990), Jungle Fever (1991), Malcolm X (1992), Clockers (1995) ed i più recenti La 25a ora (25th Hour, 2002), Inside Man (2006) e Miracolo a Sant’Anna (Miracle at St. Anna, 2008), oltre a vari documentari tra i quali spicca un film-testimonianza sulla catastrofe causata dall’uragano Katrina,When the Leeves Broke: a Requiem in Four Acts (2005).

Nella sua filmografia è presente anche Bamboozled (2000), una delle sue opere meno conosciute (ma con un notevole successo in DVD), che spicca però per il suo forte contenuto sociale; il film infatti ripercorre la storia della rappresentazione dei neri nel mondo del cinema e della televisione impregnata di cliché negativi, attraverso la figura di un dirigente televisivo afroamericano che riporta provocatoriamente sul piccolo schermo il minstrel show con tanto di attori neri truccati con il sughero fuso secondo la tradizione, per dimostrare il razzismo della rete in cui lavora, mentre lo spettacolo ottiene a sorpresa un enorme successo.
Con questo progetto, Lee vuole criticare duramente i peggiori luoghi comuni sui neri che hanno caratterizzato Hollywood sin dagli albori della settima arte; il regista coglie di nuovo l’occasione per rivolgere un’ennesima critica al film di D.W. Griffith, che in qualche modo, dato il suo enorme successo al botteghino che lo colloca come primo grande successo cinematografico, ha aperto la strada al razzismo più o meno diretto del cinema hollywoodiano nei confronti della minoranza afroamericana che, nonostante i suoi mutamenti, è ancora presente ai giorni nostri.


Note:

[1] Thomas F. Dixon Jr. (Shelby, 11 Gennaio 1864 – Raleigh, 3 Aprile 1946) è stato un ministro battista americano, commediografo, docente, legislatore dello stato del North Carolina, avvocato, e scrittore.

[2] Ulysses Simpson Grant (Point Pleasant, 27 Aprile 1822 – Mount McGregor, 23 luglio 1885) è stato un generale e politico statunitense. Fu generale unionista nella Guerra di secessione americana e 18º presidente degli Stati Uniti (1869–1877).

[3] Ku Klux Klan (KKK in acronimo) è il nome utilizzato da numerose organizzazioni statunitensi, di stampo spesso terroristico, che propugnano la superiorità della razza bianca. Storicamente si distinguono tre fasi del movimento: una prima dal 1865 al 1874 come confraternita di ex militari dell’esercito degli Stati Confederati d’America, una seconda dal 1915 al 1944, in cui il movimento ha assunto la fisionomia che oggi consideriamo tipica, ed una terza dal secondo dopoguerra ad oggi, caratterizzato dalla grande frammentazione del movimento in una miriade di piccole organizzazioni fra loro ufficialmente scollegate che utilizzano il nome KKK o sue varianti. L’organizzazione citata nel film fa riferimento alla prima fase, mentre quella che ha ripreso vigore dopo l’uscita dello stesso film fa riferimento alla seconda fase.

[4] La NAACP è una delle prime e più influenti associazioni per i diritti civili negli Stati Uniti. Fu fondata il 12 febbraio 1909 in aiuto degli afro-americani. La sua sede principale è a Baltimora nel Maryland, ma ha altri uffici in numerosi stati degli USA.

[5] Cfr. Donald Bogle, Toms, Coons, Mulattoes, Mammis, and Bucks: An Interpretative History of Blacks in American Films, NY, The Continuum International Publishing Group, 1973.

[6] Oscar Micheaux (Metropolis, 2 gennaio 1884 – Charlotte, 25 marzo 1951) è stato un regista, sceneggiatore, attore, nonché produttore cinematografico e scrittore statunitense. È considerato uno dei primi registi e produttori cinematografici afroamericani della storia del cinema. Diresse 41 film in trent’anni di carriera, ma ne sono rimasti oggi solo una decina, tra cui, rieditati in DVD negli States, Within Our Gates (1920) e Body and Soul (1925, con Paul Robeson).

[7] Le Pantere Nere o Black Panther Party (originariamente chiamato Black Panther Party for Self-Defence) sono una storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana degli Stati Uniti attiva tra la metà degli anni ’60 e metà degli anni ’70. L’organizzazione fu fondata ufficialmente a Oakland (California) nel 1966, per iniziativa di due ex-compagni di scuola, Huey P. Newton e Bobby Seale. L’obiettivo dei due era di sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani fino ad allora pesantemente discriminati, socialmente, politicamente e legislativamente.



Bibliografia sintetica:

- Everett, Anna, Returning the gaze: a genealogy of black film criticism, 1909-1949, Durham, Duke University Press, 2001.

- Noble, Peter, The Negro in Films, Skelton Robinson, 1937 (trad. it.: Il negro nel film, Roma, Bocca, 1956).

- Smith, Valerie (a cura di), Representing Blackness: Issues in Film and Video, New Brunswick, Rutgers University Press, 1997.




Saggio pubblicato su www.cinemafrica.org
Scritto da Giorgia Braico©

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